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[sorvegliare e custodire]
Foucault - Nella misura in cui l’apparato di produzione diviene più importante e più complesso, nella misura in cui aumentano il numero di operai e la divisione del lavoro, i compiti di controllo divengono più necessari e più difficili. Sorvegliare diventa allora un funzione precisa, ma che deve essere parte integrante del processo di produzione; lo deve doppiare in tutta la sua lunghezza. Diviene indispensabile un personale specializzato, costantemente presente e distinto dagli operai.[Michel Foucault – Sorvegliare e punire, ed. Einaudi, Torino 1995, p. 191]
Avrei tanto voluto lasciarmi andare e limitarmi a delle immediate impressioni panoramiche. Invece nel paesaggio si è insinuato un demone del prolisso che continua a sussurrare frasi smozzicate delle quali occorre poi darne conto ad ogni fondo pagina….
Adesso, ad esempio, questo noioso ha preso a tormentarmi con questa frase:
Quando si apre un mondo si decidono, per un’umanità storica, vittoria e sconfitta, benedizione o maledizione, dominio o servitù. [1]

E quando poi gli chiedo da chi sarebbe popolato questo mondo che deve decidere le forme della propria oppressione, ecco che mi strizza l’occhio e mi dice - come se parlasse d’altro:

All’esser-opera dell’opera appartengono coessenzialmente tanto coloro che la fanno quanto coloro che la salvaguardano.”[2]

…Certo che così è descritto solamente lo specifico mondo dell’opera d’arte…
Ma non è questo il mondo eccellente?... un mondo per eccellenza?...
Comunque, che posto sarebbe, questo mondo composto solo da chi fa e da chi custodisce?
E’ un cupo mondo di portinerie e cani da guardia. Zeppo di sbirri e custodi di museo, di uscieri e bidellini. Pattugliato da guardaboschi in tralice e cravatta… si direbbe. 

Ma forse non dovrei proiettare i caratteri di questo particolare mondo sul mondo in generale – cioè sul mondo vero, reale e abitudinario. E tuttavia….
Che l’arte sia l’origine dell’opera significa che essa fa sorgere nella loro essenza quelli che sono ad essa coessenziali: i facenti ed i salvaguardanti” – dice Heidegger.
[3]
A me sarebbe venuto più naturale contrapporre ai “facenti” dei “non-facenti”; ma volendo farne un unico fraterno popolo, tesi e antitesi, affermazione e negazione, devono perdere la loro essenza conflittuale per risolversi entrambi in un’attiva positività: chi fa e chi fa per salvaguardia – siano pure questi ultimi coloro che “riposano” sulla faccia - e alla faccia -  di tutti quegli altri che si affaticano... per un comune e fraterno “mandato”...


Rischio proprio di smarrirmi in questa foresta nera….
Ma un mondo abitato solamente da una popolazione divisa tra chi fa e chi custodisce si presenta come prodotto dell’assurdità di una produzione senza consumo. Questa partizione di un mondo diviso tra chi fa e chi custodisce (il già fatto) sembra compiuta da uno spirito pitocco che ha in cuore null’altro che l’astinenza.
[4]
Non potendo concepire che la filosofia si occupi di spiritelli dei boschi, provate pure a fare questa rozza considerazione: i “salvaguardanti” da dove altro potrebbero trarre il proprio sostentamento materiale se non dal “consumo” stesso di ciò che pur dovrebbero custodire e salvaguardare:  rispettare e inverare?
Non ci vuole però poinmolto ad indovinare i tratti fisionomici di codesti salvaguardanti  - pingui sorci a guardia dei granai: possessori di cedole azionarie, capitani d’industria, cavalieri d’affari, professori delegati: tutti con guardiaspalle al seguito e salvacondotto in tasca, rilasciato, niente di meno, che… dall’Opera d’arte medesima.

Ma qui - osservereste - si parla appunto dell’opera d’arte, e l’opera d’arte è fatta proprio per non essere consumata. E sebbene molti ci mangiano sopra, l’opera d’arte non si può certo considerare alla stregua di una patata; e neppure di un paio di scarpe da sgranocchiarsi come nella febbre chapliniana.
[5]
Con ciò è stata comunque enunciata l’esistenza di una particolarissima produzione senza altro scopo se non l’accumulo e la scorta, da custodire e curare…
[6]
E di questo custodire, cosa ne direbbe qualcuno che è stato proprio curato e salvaguardato come  Vincent van Gogh?

A parer mio l’uomo che si allontana dalla natura, la cui testa è sempre colma di idee sul conservare questo e quell’altro… oh – in tal modo si arriva al punto da non saper più distinguere il nero dal bianco – e – e si diventa proprio l’opposto di quanto il mondo ritiene che uno sia e di quanto si pensa di essere.” [7]

…Si diventa, cioè, “l’opposto”: un mondo alla rovescia…

Se ora provo a chiedermi da dove potrebbe nascere questa bizzarria di una produzione da mantenere perennemente ad una “distanza oculare”; e ancora: da dove trarrebbe le ragioni del suo sussistere tra gli uomini reali, mi verrebbe da tentare una parafrasi da una frase di Marx, e dire che:

“..il contegno reale pratico del “facente” nella produzione e rispetto al prodotto (come stato d’animo) si presenta nel “salvaguardante”, che gli sta di fronte, come contegno contemplativo”.[8]

Il contegno contemplativo del salvaguardante sarebbe alimentato e mantenuto dal suo non fare, cioè dalla sua insipienza rispetto al prodotto e al suo intero processo realizzativi. 

Custodita e conservata per sé stessa l’opera sarebbe ascetismo e devozione: ossia nulla per l’uomo reale.
Per essere qualcosa per l’uomo l’opera deve innanzi tutto essere dell’uomo; il quale, da parte sua, produce consumando e consuma producendo sé stesso e il suo Mondo – naturalmente, assieme a tutte la varie modalità del sensibile contemplare e godere. 

Se invece “…è l’opera stessa a rendere possibili coloro che la fanno e a richiedere, quanto alla sua stessa essenza, coloro che la salvaguardano”
[9] ... gli uomini (che la fanno e che la salvaguardano), sarebbero niente altro che una sua propria possibilità, ossia nulla.
Qui, l’opera (la cosa, la res) e l’uomo si fronteggerebbero nella indifferenza uno dell’altra; ma però è poi la cosa ad avere il predominio nel fare l’uomo, facente o salvaguardante che sia.
Si è detto difatti: “è l’opera stessa a renderli entrambi possibili”.[10]
Per costoro la cosa (la res) si presenta come cuore invertito (pervertito) che l’essere eresse: l’opera che rende possibili gli uomini (che la facciano o che la custodiscano) sussiste indipendentemente e addirittura pre-esiste prima di essere fatta (e custodita)… O qui si manifesta semplicemente un altro ennesimo caso di iniziare da un dato già bell' e fatto pittosto che da una “origine” bell' e buona..?

Ma cosa è, o cosa potrebbe essere, realiter, “questa” cosa che tiene l’uomo in sua mercè?
E chi sono mai questi uomini la cui possibilità di essere è in mercè di “questa” cosa di cui sono alla mercè? … E che mondo sarebbe concretamente questo loro mondo del quale, tornando a casa poter dire ai figli:  “tutto a posto”? 
Per identificarne i termini del tutto reali e attuali, sociali e storici, è sufficiente fermarsi al gioco delle parole appena tirate in ballo senza lasciarsi prendere troppo dalla sarabanda delle coniugazioni: mercè e mercede, ossia merce e lavoro salariato... "res", ossia cosa, realtà, possesso, bene…. C’è forse bisogno di nominarlo ancor più esplicitamente questo mondo ordinario e abitudinario nel quale l’uomo ha valore solo se e fin tanto che il suo facere produce beni che altri possono accumulare e salvaguardare?

Insomma, con indosso “queste” scarpe (da contadino) inciampo in troppe categorie mondane per non nutrire il sospetto che “queste” scarpe (da contadino) si siamo messe in marcia per fare da puntello d’ordine ad un determinato Mondo, che non intende per nulla andarsene all’altro mondo.[11]  

- “Che l’arte sia l’origine dell’opera significa che essa fa sorgere nella loro essenza quelli che sono ad essa coessenziali: i facenti ed i salvaguardanti” – ha detto Heidegger?…

Allora torniamo sul sentiero; e facendo una piccola deviazione dalla metafisica verso la realtà fisica di orti e campi di patate custoditi proprio dalla vecchia contadina, proviamo a verificare contadinescamente il dire del filosofo:  

- “Che l’agronomia sia l’origine della patata significa che essa fa sorgere nella loro essenza quelli che sono ad essa patata coessenziali: i coltivatori di patate e i custodi di patate.” …

Va bene forse cosi!?

Piuttosto, alla patata e ai coltivatori di patate sono coessenziali i mangiatori di patate! ” – confuterebbe Vincent – che non avrebbe mai fatto il ritratto a dei sorveglianti di patate, “coessenziali” solo alla divinità del tubero.
[1] - Heidegger, Origine, Ni68, p. 47.
[2] - Ivi, p. 55. Nella traduzione di V. Cicero i “salvaguardanti” (die Bewahrende) sono stati soppiantati dai “verecondenti” (Origine Bo06, cit. p. 66 e p.71), connotati come “riservati”, “venerabili”, “rispettosi”, “timorosi”, “osservanti”, “sorveglianti”, “custodi”, “guardiani” (cfr. voce Verecondere in glossario, ivi p. 701). - Come non vedere, mi chiedo, che con tale sottigliezza filologica si delineano figure più grottesche di quanto sarebbe stata capace la mia incompetenza e, se volete, malafede? Sagome tanto più impietose e sferzanti se poi le si contrapponge ai “facenti” (die Schaffende) della vecchia traduzione di Chiodi; in quella di Cicero questi ultimi sarebbero i “creanti”… o si sarebbe dovuto dirli “inverecondenti”? Gonfi di vergognoso pudore e rassegnati gli uni quanto svergognati, sfrontati e senza ritegno gli altri, a chi, tra i due, rivolgereste la vostra simpatia e riconoscenza? - Vedi in Materiali (qui sotto) le due versioni. – Nell’edizione Marinotti (2000, cit. p. 117) die Bewahrende viene tradotto come “gli inveranti” (non credo nel senso di realizzatori, attuatori, ma da intendere come “partecipanti” (coloro che divengono partecipi della concretezza attuata dai “creanti”).
[3] - Ivi, Origine, Ni68,  p. 55.
[4] - “Santo cielo! Che graziosa riforma sociale è quella delle casse di risparmio e degli istituti di beneficenza. Casse di risparmio! E perché no anche salvadenari? Davvero la società non è ancora abbastanza infetta dall’avarizia e dall’usura perché non ci sia bisogno di istituire queste specie di uffici per spilorci. No! No! Quel che si risparmia poi va in fumo, vale a dire: quanto più noi limitiamo le nostre esigenze tanto meno veniamo pagati. Chi non osa consumare qualcosa è disposto anche a non guadagnare niente. E poi gli istituti di beneficenza! Non sei orgoglioso tu o tedesco! Istituti di beneficenza, quella specie di enti per distribuire un pezzo di pane sotto la tutela dei funzionari e dei dotti. Case per i poveri! Ma insomma un libero popolo con case per i poveri: questo è un assurdo signor Wirth!” [W. Weitling, da Junge Generation, riportato in Franz Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca, Editori Riuniti, III edizione, Roma 1974, vol. 1, p. 210].
[5] - Magari l’essenza dell’opera d’arte si manifesta prevalentemente o esclusivamente nella sfera delle circolazioni delle forze di scambio di questo movimento, dove si realizzerebbe la sua particolarissima “usabilità” (e consumo), che magari include una conservazione… delle eredità – sempre che uno le accetti.
[6] - Heidegger prende in considerazione il consumo della cosa (che avverrebbe nell’usabilità del mezzo) ma intanto ne parla come devastazione, consunzione, deperimento, (Origine Ni68, p. 20) tradendo un celato rammarico per questo inconveniente cui andrebbe incontro l’Essere nelle sue incarnazioni. E intanto, da dietro la vaneggiata incorruttibilità dell’opera (e dell’Essere) intravedo il capolino di una materia realmente incorruttibile come l’oro a fronte ai suoi predicati: il denaro con le svariate forme che assume come Capitale, sempre soggetto a deperimenti improvvisi: bancarotte, svalutazioni e crisi economiche – non saranno mica poi questi gli eventi minacciosi che si riverberano come “abbuiarsi del mondo, fuga degli dèi, distruzione della terra”? (Introduzione alla metafisica, cit. p. 48) – La metafisica se l’è proprio vista brutta… (L’introduzione è di poco successiva all’iperinflazione tedesca del ’23 seguita e rinvigorita dalla grande depressione del ’29).
[7] - Vincent a Theo, Nuenen 16 dicembre 1883 (n. 414-347).
[8] - Parafrasi da Karl Marx, Opere filosofiche giovanili (1844), Editori Riuniti, Roma 1969, pag, 205. - Questa frase di Marx è riportata anche nel mio Abaco delle esortazioni (critiche), in Aut.Trib 17149, n. 1, Roma, ottobre 1978.
[9] - Heidegger, Origine, Ni68, p. 55 - Tanta sollecitudine nei confronti di costoro (che appartengono all’opera, sorgono con l’opera dall’opera e si mettono subito all’opera, ecc) colloca il filosofo dalla stessa parte della barricata di quelli che guardano per salvare o salvano per guardare…
[10] - Per altro, e sia detto una volta per tutte, queste separatezze dell’uomo, come quella in facente e salvaguardante, in artista e osservatore ecc.,  sorgono solo nella e durante la descrizione a cui  sono necessarie per scandire il rapporto del soggetto con diversi momenti di un unico processo organico; nella realtà questi termini non sussistono separatamente; ognuno è al contempo l’uno e l’altro: produttore e consumatore, artista e pubblico, creatore e custode. Così, ad esempio, mentre van Gogh produce un’opera raffigurante un paio di vecchie scarpe, nel fare osserva anche l’opera, ossia di quell’opera è anche il pubblico, e magari pure il salvaguardante. La stessa considerazione vale per un calzolaio che produce scarpe consumando scarpe, ad esempio, per recarsi sul posto di lavoro…[
[11] - Engels, Ludwig Feuerbach, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 19: “La repubblica romana era reale, ma l’impero romano che la soppiantò  lo era ugualmente. La monarchia francese era diventata nel 1789 così irreale, cioè priva di ogni necessità, così irrazionale, che dovette essere distrutta dalla grande Rivoluzione, della quale Hegel parla sempre col più grande entusiasmo. In questo caso dunque la monarchia era l’irreale, la rivoluzione il reale. E così nel corso della evoluzione tutto ciò che prima era reale diventa irreale, perde la propria razionalità; al posto del reale che muore subentra una nuova realtà vitale: in modo pacifico, se ciò che è vecchio è abbastanza intelligente da andarsene senza opporre resistenza alla morte; in modo violento, se esso si oppone a questa necessità.”






MATERIALI § [ sorvegliare e custodire ] - Nota 2 Confronti tra le edizioni Nuova Italia e  Bompiani.

[Ni068,p. 51]
- Come è impossibile che un’opera ci sia senza essere stata fatta (cioè: come l’opera richiede in linea essenziale chi l’ha fatta) così, quale fattura, essa non può sussistere senza chi la salvaguardi. Il fatto che un’opera non trovi i suoi salvaguardanti, o non li trovi immediatamente conformi alla verità che si storicizza nell’opera, non significa affatto che l’opera resti opera anche senza i salvaguardanti. In quanto opera essa resta sempre riferita ai salvaguardanti, anche quando e proprio quando essa è semplicemente in attesa, cattivandosi e attendendo il loro ingresso nella verità.

[Bo06, p. 66]
- Così come non può esserci un’opera che non sia stata creata – tanto essenzialmente le occorre qualcuno che la crei -, tanto meno lo stesso esprodotto della creazione può divenire essente senza qualcuno che lo vereconda. Se però un’opera non trova i suoi verecondenti, se non trova immediatamente dei verecondenti in grado di corrispondere colloquial-mente alla verità che accade nell’opera, ciò non significa affatto che l’opera sia opera anche senza i verecondenti. Essa, se è davvero un’opera, resta pur sempre riferita ai verecondenti, anche quando e proprio quando essa, stando semplicemente in attesa dei verecondenti, persegue e infine consegue che costoro soggiornino coinvolgendosi nella sua verità.

[Ni068, p. 55]
- All’esser-opera dell’opera appartengono coes-senzialmente tanto coloro che la fanno quanto coloro che la salvaguardano. Ma è l’opera stessa a rendere possibili coloro che la fanno e a richiedere, quanto alla sua stessa essenza, coloro che la salvaguardano. Che l’arte sia l’origine dell’opera significa che essa fa sorgere nella loro essenza quelli che sono ad essa coessenziali: i facenti e i salvaguardanti.

[Bo06, p. 71]
- Alla createzza dell’opera pertengono coes-senzialmente tanto i creanti quanto i verecondenti. È però l’opera stessa a rendere possibili nella loro essenza i creanti, e ad aver bisogno, sulla base della sua propria essenza, dei verecondenti. Se l’arte è l’origine dell’opera, allora ciò sognifica che essa lascia scaturire nella loro essenza quelli che coappartengono essenzialmente all’opera, creanti e verecondenti.
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES